La Lomellina è una regione storico-geografica, sita nella zona sud-occidentale della Lombardia compresa tra il Sesia a ovest, il Po a ovest e a sud, il Ticino a est e il Basso Novarese a nord.
Storia
Anche se oggi la Lomellina appare come una regione abbastanza omogenea e ben identificata, la sua formazione come precisa entità storico-amministrativa fu il frutto di un processo lungo e complesso, che si poteva dire concluso solo verso la fine del Medioevo.
Indubbiamente la Lomellina, nell’ambito della Pianura Padana, ebbe alcune caratteristiche peculiari. Qui più che altrove la fitta coltre boscosa che ricopriva la pianura in epoca preistorica si conservò a lungo: ancora in epoca rinascimentale la zona aveva ampie foreste, assai rinomate per la caccia, che facevano della Lomellina il luogo prediletto per gli svaghi dei Signori di Milano.
Epoca romana
Questa situazione probabilmente non era venuta meno neppure in epoca romana, poiché non si trova traccia in Lomellina della centuriazione che caratterizza gran parte della Pianura Padana, se non attorno a Vigevano (che costituiva un lembo della campagna centuriata di Novara). La zona pertanto non vide una deduzione di coloni, e le popolazioni locali, di origine preromana, subirono un lento e forse pacifico processo di romanizzazione nel corso del I secolo a.C. La zona non doveva essere etnicamente compatta in epoca preromana: se è vero che i popoli antichi della pianura padana si raccoglievano attorno ai fiumi, principali vie di comunicazione in assenza di strade, la Lomellina doveva essere il luogo di confine e forse parziale sovrapposizione dei popoli che vivevano lungo i fiumi che circondano da tre parti la zona: i Levi del Ticino, i Marici del Po e i Libicii del Sesia (fondatori i primi due popoli di Pavia, e l’ultimo di Vercelli). Questi popoli facevano parte del residuo ethnos ligure padano; più a nord, verso Novara, si trovavano popoli di prevalente origine celtica (Victimuli, Vertamocori).
La regione aveva dunque centri urbani appena fuori dai suoi confini, ma costituiva un’area singolarmente vasta, per la pianura padana, priva ancora in epoca romana di centri urbani importanti. Questa situazione venne parzialmente mutando quando i Romani potenziarono la rete stradale a nord del Po, verso le Gallie: la Lomellina era attraversata da un’importante strada che da Pavia, attraverso Duriae (Dorno), Laumellum (Lomello) e Cuttiae (Cozzo), portava verso Torino e le Alpi (dunque le valli dei fiume Dora, Duriae, e la provincia delle Alpi Cozie, Cuttiae). È significativo che gli unici centri antichi conosciuti siano noti dagli itinerari e non da testi letterari o epigrafici (solo Lomello è citata in un testo storico, piuttosto tardo -355- e sempre in riferimento alla strada: Ammiano Marcellino, XV.8.18): per i romani la Lomellina era ancora solo una zona da attraversare. Questo peraltro non significa che la popolazione locale non avesse dato vita a insediamenti notevoli, anche se non urbani. In quest’epoca probabilmente la Lomellina era divisa tra i municipi di Vercelli, Novara e Pavia. La parte sudorientale della Lomellina si chiamava Aliana: si parla infatti di una regione Aliana inter Padum Ticinumque amnes (Plinio il Vecchio, Nat. Hist, XIX, 9), celebre per i lini. In prossimità c’era anche una regione Retovina il cui nome potrebbe derivare da un luogo detto Retovium, forse il Redobium del Medioevo, ovvero Robbio.
Medioevo
Un vero cambiamento si ebbe solo nella tarda antichità e nel primo Medioevo, a seguito dello straordinario aumento di importanza di Pavia, divenuta capitale dei Goti, dei Longobardi e dei Franchi in Italia. Come vedremo, il rapporto con Pavia fu decisivo per la Lomellina, anche se fu contraddittorio e spesso conflittuale. Indubbiamente il primo effetto fu l’aumento di importanza di Lomello, che divenne in epoca franca sede di contea. Lomello fu un primo centro urbano in grado di invertire la condizione di perifericità della Lomellina: sorto sull’Agogna, che era verosimilmente l’antico confine tra Pavia e Vercelli, riunì una vasta area dell’attuale Lomellina, anche se la parte orientale continuò a far capo a Pavia e altre zone marginali a Novara e Vercelli. Il rapporto di questa contea con Pavia ebbe un rapido e contraddittorio sviluppo: i Conti di Lomello divennero Conti del Sacro Palazzo di Pavia e Conti di Pavia, ma questo predominio lomellino si invertì quasi subito: Pavia prima scacciò i Conti, poi li combatté e infine li sottomise (1146). D’altra parte la Lomellina assoggettata assunse i connotati odierni, poiché Pavia diede il nome di Lomellina a tutti i suoi domini a occidente della città, comprendenti sia l’antica contea di Lomello, sia le terre adiacenti già pavesi, sia infine lembi del territorio vercellese e novarese che il potente comune pavese aveva conquistato. In tal modo possiamo dire che la Lomellina secondo il nostro concetto ha senso solo in quanto dominio pavese, lo stesso che si deve dire per esempio dell’Oltrepò Pavese; ma mentre quest’ultimo si definisce semplicemente come le terre situate a sud del Po, anteriormente prive di qualunque unità, che Pavia unificò conquistandole, la Lomellina presentava un nucleo indipendente di aggregazione che rende riduttivo vederla semplicemente come una parte del più vasto dominio pavese. Si aggiunga che la vicinanza di altri centri urbani (Vercelli, Novara, Alessandria e Milano) rese meno forte la presa del capoluogo sulla regione, specie quando la potenza di Pavia cominciò a declinare.
Secoli XVII e successivi
Dopo la conquista viscontea del territorio pavese la Lomellina venne confermata alla Contea di Pavia, poi elevata a Principato. Ma nel XVII secolo, sempre nell’ambito dello Stato di Milano, la Lomellina cominciò ad avere una maggiore autonomia amministrativa (per esempio ebbe una propria Congregazione indipendente da quella cui faceva capo il resto del Principato), e nel 1707, conquistata dai Savoia durante la Guerra di successione spagnola (possesso confermato nel 1713 con la pace di Utrecht), divenne una provincia autonoma (l’Oltrepò fu a sua volta annesso nel 1743 e separato da Pavia, ma continuò a chiamarsi pavese; qualunque riferimento all’antico capoluogo mancava invece nel caso della Lomellina). Già nel 1532 una parte della Lomellina, comprendente Vigevano, Robbio e i paesi vicini, era stata staccata da Pavia e costituita in provincia a sé, col nome di Contado di Vigevano o Vigevanasco. Anch’esso passò ai Savoia nel 1743, dunque dopo la Lomellina. In tal modo nell’età moderna si ebbe un’idea più ristretta della Lomellina. Solo nel 1818 le province di Lomellina, con capoluogo Mortara, e di Vigevano, furono riunite, e il nome Lomellina ricominciò a indicare l’intero territorio noto oggi con questo nome.
Nel 1859, ormai all’alba dell’unità nazionale, il decreto Rattazzi stabilì la riunione della Lomellina e dell’Oltrepò Pavese, già piemontesi, con la Provincia di Pavia tolta all’Austria, nella nuova provincia di Pavia, nell’ambito della quale fu istituito il circondario della Lomellina, con capoluogo Mortara.
La natura della Lomellina
Una garzaia della Lomellina, con aironi rossi, garzette e nitticore
Un territorio pianeggiante come quello lomellino non mostra, a un visitatore occasionale, evidenti segni di eterogeneità ambientale. La maggior parte del territorio è occupata dalle coltivazioni e sembra aver sottratto ogni spazio alle formazioni vegetali spontanee. Il terreno così piatto e uniforme sembrerebbe essere una condizione originaria, e non, come in realtà è, il risultato di una plurisecolare azione dell’uomo, che ha trasformato un territorio originariamente costituito da piccole ma percettibili ondulazioni, occupate da una fitta e variegata vegetazione, al fine di ricavare terreni coltivabili. In estrema sintesi, il territorio originario era costituito da piccole ondulazioni, sulla cui sommità si sviluppava una vegetazione caratteristica delle zone aride, alle quali si alternavano avvallamenti nei quali l’umidità del terreno era, talvolta, molto pronunciata e consentiva lo sviluppo di una rigogliosa vegetazione palustre. Le aree intermedie, che costituivano la maggior parte del piano fondamentale della pianura, erano occupate da formazioni di foreste, dominate dalla farnia, Quercus robur, e da altre specie arboree più o meno esigenti per quanto riguarda l’umidità del suolo. La bonifica dei terreni ha consistito nella rimozione delle parti più elevate delle ondulazioni e nella collocazione del terreno rimosso nelle zone più ribassate. Questo fu realizzato anticamente con mezzi molto semplici, ossia con pale e carriole. Negli ultimi decenni si è proceduto con ulteriori trasformazioni utilizzando i bulldozer.
Sopravvivono, tuttavia, lembi di territorio molto ridotti ma di grande interesse naturalistico, storico e documentario, che ci mostrano come doveva essere l’aspetto della Lomellina in epoche passate. Queste aree residue ospitano ancora delle testimonianze naturalistiche di enorme pregio, quali formazioni vegetali, esempi di flora e di fauna di grande importanza anche a livello europeo. Basti pensare che in alcuni dei boschi umidi residui sono localizzate le cosiddette “garzaie”, ossia le colonie di aironi gregari, più importanti d’Europa. Molto interessanti sono le golene dei fiumi Po, Ticino, Sesia e Terdoppio, che in alcuni tratti hanno conservato caratteristiche naturali di grande valore. Una delle peculiarità meno conosciute, anche a livello locale, è rappresentato dai dossi. Una parte rilevante del territorio lomellino è stata inclusa fra le Aree prioritarie per la biodiversità ed è una delle aree sorgente importanti nell’ambito della Rete Ecologia Regionale della Lombardia.
La protezione della natura in Lomellina
La Riserva naturale della Palude Loja, Zeme. Un ontaneta in buono stato di conservazione
In Lomellina esistono diverse riserve naturali e monumenti naturali, istituiti dalla Regione Lombardia e due parchi regionali: il Parco naturale lombardo della Valle del Ticino, primo parco regionale istituito in Italia nel gennaio del 1974, e il Parco del Po Vercellese/Alessandrino, della Regione Piemonte. Le aree protette della Lomellina esistono grazie alla presenza al loro interno di valori faunistici di livello internazionale. Nel corso degli anni ’70 ci si rese conto della rilevanza delle popolazioni di aironi coloniali della Pianura padana centro-occidentale tra le popolazioni del Paleartico occidentale, con la Lomellina al centro. Oggi, in un quadro di conoscenze più completo, questa regione si conferma come una delle più ricche e interessanti dal punto di vista ornitologico nel continente. È questa una delle poche zone, forse l’unica, in cui si incontrano tutte e nove le specie europee di Ardeidi, sette delle quali coloniali (Airone cenerino, Airone rosso, Airone bianco maggiore, Garzetta, Sgarza ciuffetto, Airone guardabuoi, Nitticora) e due, Tarabuso e Tarabusino, che nidificano in modo solitario. Accanto ad esse nidificano specie di assoluto interesse conservazionistico: Spatola, Mignattaio e Falco di palude. Oltre che per gli uccelli nidificanti, le riserve naturali e i monumenti naturale della Lomellina si sono dimostrati dei biotopi di grande rilevanza per la conservazione di specie rare e minacciate a livello europeo, fra le quali diverse incluse nelle liste di priorità della Direttiva Habitat.
Le garzaie
Grazie all’interesse ornitologico, le zone umide più importanti furono identificate dai ricercatori dell’Ateneo pavese come prioritarie e in seguito protette grazie all’applicazione delle nuove leggi regionali nel corso degli anni ‘80. Solo diversi anni più tardi, con il recepimento da parte dell’Italia della Direttiva Habitat, promulgata dalla Comunità Europea nel 1992, ci si rese conto che le scelte già effettuate avevano anticipato gran parte degli intendimenti della Direttiva stessa. In particolare, il sistema di aree protette della pianura pavese comprendeva i migliori esempi di formazioni boschive di Ontano nero. Queste, classificate come “Foreste alluvionali residue di Alnus glutinosa e Fraxinus excelsior (Alno-Padion, Alnion incanae, Salicion albae)”, non solo sono incluse fra gli habitat di interesse comunitario la cui presenza comporta la designazione dell’area come SIC (Sito di Interesse Comunitario), ma la loro conservazione è considerata prioritaria. Mai come in questo caso l’uso di un gruppo faunistico quale indicatore di valore naturalistico ha prodotto risultati concreti e interessanti su più vasta scala.
I dossi
I dossi della Lomellina hanno attirato l’attenzione di illustri studiosi di scienze naturali fin dal XIX secolo. Già nel 1882 il geologo Taramelli si era occupato di queste aree, approfondendone lo studio negli anni successivi in alcune pubblicazioni (1890). Un altro geologo di fama, Alfredo Boni, per anni direttore dell’Istituto di Geologia dell’Università di Pavia, studiò i dossi, compiendo osservazioni molto particolareggiate. Il lavoro fu pubblicato nel 1947, e costituisce tuttora un contributo fondamentale per la geologia della Pianura padana. Gli aspetti botanici furono oggetto di ricerche da parte di Francesco Corbetta, dell’Istituto di Botanica dell’Università di Bologna, e i risultati pubblicati nel 1968.
Geologia
Minori interruzioni alla piatta uniformità ed al succedersi delle ricche colture a campi, a marcite, a risaie sono costituite da minuscoli rilievi che, isolati o a gruppi, si staccano dal piano generale. Profondamente colpito resta colui che, abbandonata la strada maestra che da Tromello conduce a San Giorgio, s’avvia per i campi, e poi, superati i filari di pioppi che limitano l’orizzonte, s’avventura nei boschi verso Cergnago. Uno spettacolo del tutto insospettato gli si presenta: la superficie, decisamente sabbiosa, arida, ricoperta da magre erbe, da qualche ginestra e da una bosco di querce e robinie, è tutta ondulata da minuscole collinette, fra le quali stanno delle piccole depressioni, dove i l terreno appare più umido. Tutti questi rilievi vengono genericamente indicati sul posto col nome di “dossi”, e, in qualche caso, per indicare la loro natura sabbiosa, con quello di “sabbioni”.
Naturalmente le plaghe a dossi sono oggi molto limitate in estensione ed i rilievi isolati poco numerosi; l’opera bonificatrice li attacca continuamente, coltivandoli dapprima senza irrigazione, spianandoli progressivamente, adducendovi quindi l’acqua e riducendoli così a colture irrigue. A memoria d’uomo si ricordano zone prima a “dossi” ed oggi spianate, irrigate e coltivate a riso. Nella carta topografica stessa vediamo in più punti l’indicazione “i Dossi” in regioni oggi pianeggianti: anzi questo fatto può aiutarci a ricostruire la distribuzione del fenomeno in un passato storico. Le più grandi plaghe sabbiose a dossi della Lomellina, e quindi di tutta la Lombardia, in cui più evidente è la morfologia primitiva, sono quattro: quella che da Remondò a Nord si spinge sin quasi alle cascine la Rabbiosa e Donzellina a Sud con una larghezza che si aggira sul chilometro, una seconda che da Cergnago si estende per un paio di chilometri verso SE sino ad incontrare ed oltrepassare la strada San Giorgio-Tromello; una terza, più piccola, esiste in corrispondenza al bosco del Lupo a Nord della cascina “Bella Rosa”, ad Ovest dello stradale Ottobiano-Tromello, ed una quarta, ormai molto ridotta, nei pressi di Mortara.
Vegetazione
Gran parte dei dossi ha subito alterazioni profonde in epoche recenti; ciò rende difficile la ricostruzione del possibile paesaggio vegetale che li caratterizzava nelle condizioni originarie. Dei dossi lomellini però, due, fortunatamente, anche se solo in parte, sono scampati alla distruzione totale. Uno è il dosso di Remondò nella parte posta a sud della strada Mortara-Pavia che è ora occupato da installazioni militari e che, anche se in parte manomesso, è ancora sufficientemente rappresentativo. L’altro è parte del dosso di San Giorgio – Cergnago, posto lungo la strada comunale Cergnago-Tromello, di proprietà privata, destinato ad azienda faunistica e che, malgrado alcune manomissioni inerenti alla sua funzione (escavazione, ad esempio, di stagni per la caccia agli uccelli acquatici), conserva non pochi lembi ancora pressoché intatti e di grande bellezza.
Fauna
L’area dei dossi costituisce un’isola di vegetazione naturale nella distesa delle coltivazioni circostanti. Vi trovano pertanto un ambiente idoneo molte specie ormai scomparse da gran parte della Lomellina. Per quanto manchino ricerche approfondite sugli aspetti faunistici, i primi dati raccolti sull’avifauna testimoniano l’importanza del biotopo in questione come estremo rifugio per diverse specie di bosco. Sono presenti, talvolta in buon numero come nel caso degli anatidi, diverse specie palustri grazie all’esistenza di acquitrini negli avvallamenti fra un dosso e l’altro. Fra i mammiferi è da segnalare la presenza della puzzola Mustela putorius, della martora Martes martes e del tasso Meles meles. Fra gli anfibi sarebbero da ricercare con attenzione la rana di Lataste Rana latastei ed il pelobate Pelobates fuscus insubricus, per entrambi i quali esistono le condizioni ambientali idonee all’esistenza.