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EVENTI ANNUALI
- Festa patronale (Natività di Maria Vergine): seconda domenica di settembre
CENNI STORICI
Castello d’Agogna prende il nome dal torrente Agogna, che attraversa il paese dopo un percorso di 140 chilometri cominciato dal monte Mergozzolo, sulle Prealpi.
In età cristiana il fondo di Castello d’Agogna fu indicato con il termine “fundus aconianus”, mentre la denominazione di “castro aconiano” è ritenuta di origine romana.
Nell’alto Medioevo, quando i Longobardi si convertirono al Cristianesimo, alcuni dei maggiori castelli, fra i quali quello di Castello d’Agogna, passarono dall’amministrazione regia ai vescovi: il “castrum” divenne paese e la definizione Borgo del Castello si capovolse divenendo Castello del Borgo (Castello d’Agogna appunto).
Soltanto dopo il X secolo si hanno notizie più precise del paese. Castello d’Agogna, con il nome di Castro di Barona, entrò nel patrimonio dei beni dei Perolfo, feudatari di Mortara. Nel 1080 fu fondato l’ordine religioso dei Mortariensi presso il convento di Santa Croce, poi matrice di nuove chiese religiose, fra cui il priorato di Santa Maria di Castello d’Agogna e San Martino in Castel Barona, ora scomparso.
Per Castel Barona, sin dall’XI secolo, il potere ecclesiastico ha avuto importanza primaria: infatti, furono i canonici di Santa Croce a progettare l’impianto dei corsi d’acqua rurali ora chiamati cavo dei Frati, cavo Panizzina, roggia Zermagnona.
Nel 1164 il castello divenne patrimonio di Federico II il Barbarossa.
Il 12 giugno 1213 i Della Torre, signori di Milano, entrarono in Lomellina, distrussero Mortara fino alle fondamenta e presero vari castelli scegliendo quello di Castello d’Agogna come residenza di campagna. Dopo che la casata fu sconfitta dai Visconti nel 1311, seguì un lungo conflitto fra la Santa Sede e i Visconti stessi al termine del quale i Mortariensi si rifugiarono nel convento di Mortara, abbandonando il castello di Barona.
Nel 1392 fu rogato il passaggio di proprietà dal monastero di Santa Croce al conte Antonio Porro. Nel 1427 i Porro permutarono il castello con Zanino Ricci, che a Zeme fece scavare la roggia Rizza. Dal 1438 al 1467 il castello fu lasciato in feudo a Luigi Sanseverino, mentre dal 1467 al 1489 la contea fu presieduta da Ludovico il Moro che, divenuto duca di Mortara, favorì la discesa in Italia di Carlo VIII, re di Francia.
Alla morte del Moro Milano e la Lomellina caddero nelle mani dei Francesi divenendo parte integrante del regno di Luigi XII. Gian Giacomo Trivulzio, maresciallo di Francia, fu obbligato a uscire da Milano, ribelle ai Francesi, e concentrò il suo esercito a Mortara e nei paesi limitrofi, in attesa dell’arrivo dei soccorsi dalla Francia. In paese il castello fu così occupato dai Francesi, che ne distrussero i ponti levatoi.
Nel 1577 la parte del castello del conte Ricci fu venduta a Riccardo Jettone. Dal 1577 al Settecento si hanno pochi elementi per ricostruire la storia del castello: parte dei territori di Castello d’Agogna furono acquistati dal conte Miglio e dal commendator Basso, mentre la Lomellina visse molti anni senza sussulti sotto la duplice tutela della Spagna e della Chiesa Cattolica. Con la decadenza del potere spagnolo scoppiarono le prime carestie, cui fecero seguito le spaventose epidemie di peste che colpirono anche la Lomellina.
Agli inizi del Settecento il castello rimaneva un campo trincerato e un magazzino di foraggi e viveri. Durante la guerra di secessione di Spagna, fu stipulato un trattato in base al quale la Lomellina veniva ceduta alla Casa Savoia. Con il trattato di pace di Vienna dell’8 novembre 1738, la Lomellina passò definitivamente al Piemonte e il Ticino segnò il limite fra i domini sabaudi e austriaci.
La vita del nostro castello continuava intanto a essere animata dalle lotte fra gli Olevano, il marchese Ferrario, i Porro, i Miglio, i Basso, che miravano ad accaparrarsi il dominio sulle acque dell’Agogna. I feudatari erano esigenti verso il popolo che non esitava a reclamare i propri diritti: nel 1729 la comunità ottenne dal conte Porro una casa per l’abitazione del cappellano. Infine, i conti Porro, Miglio e il commendator Basso decisero di vendere il castello e la proprietà al marchese Isimbardi.
Durante la prima guerra d’Indipendenza, la riserva del duca di Savoia si accampò a Castello d’Agogna, dove Vittorio Emanuele II studiava la strategia di piombare di sorpresa sul nemico. La battaglia del 21 marzo 1849 fu un vero insuccesso: dopo il consiglio di guerra tenutosi a Castello d’Agogna, i piemontesi si ritirarono verso Novara.
Dopo il 1870 il marchese Isimbardi cedette il castello alla famiglia Gregotti.
Nel corso della Seconda guerra mondiale Giuseppe Invernizzi, fittabile del castello, dà vita a una Squadra azione patriottica. Il 6 dicembre 1944 il castello è occupato dai tedeschi: alcune truppe sono dislocate nei cascinali, alcune abitazioni furono confiscate, il tenente medico è alloggiato dal parroco. Poco discosto dal castello vi era un campo per l’atterraggio degli aeroplani. Al castello la vita si fa sempre più difficile: i proprietari Gregotti-Coghi e Gregotti-Corbella sono relegati in pochi locali indispensabili, il comando germanico fa eseguire opere di trinceramento, alla popolazione è imposto il coprifuoco dopo le ore 21, pena la fucilazione.
Il 30 aprile 1945, grazie all’azione concertata dei partigiani di Mortara, Robbio, Ceretto e Olevano, il Comando tedesco viene snidato e il castello liberato.
Testo liberamente tratto dalla tesi di laurea di Cinzia e Laura Bio, e dalla ricerca di Monica Salvato.